Avverto come frequente la tendenza da parte di molti esseri umani a ritirarsi dal mondo.

Anche il corrispettivo adolescenziale di questo comportamento è in ascesa: sto parlando dei famigerati Hikikomori, letteralmente “stare in disparte, isolarsi”- dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”. Il termine di origine giapponese – mutuato anche nel lessico psicopatologico italiano, viene usato per riferirsi a tutti coloro che vivono una condizione di isolamento estrema. In Giappone questo ritiro dal mondo può essere letto come una reazione alla società che promuove un ideale di autorealizzazione, di prestazione e di successo dagli standard troppo alti. In Giappone, dove le sfumature sono mal tollerate; o si diventa persone intergrate di successo o null’altro è contemplabile. Con questi presupposti d’eccellenza non è difficile immaginare quanti vogliano abbandonare la competizione sociale. Come?

Nascondendosi, non esistendo per la società, perché è questo che la società si aspetta da chi non adempie alle aspettative sociali. Anche l’Occidente si sta trasformando nella società della performance, dell’immediatezza, alla ricerca di un livello sempre maggiore di visibilità e benessere. E allora, come è possibile oggi ritrovare una dimensione autentica, che somigli a noi stessi senza rimanere impigliati nelle maglie di una società omologatrice dagli standard poco umani?

Me lo spiega Marco, un ex collezionista involontario di etichette diagnostiche affibbiategli dai vari servizi “per salute”. Marco decide di lasciare tutto per andare a vivere lontano dal caos. Spiegava la sua decisione come“un nuovo sistema di vita: restare fermo in un punto per radicare e approfondire dentro di me”. Marco ha scelto una sorta di romitaggio laico perché nel mondo si sentiva fuori posto, mentre ora, all’ombra della montagna magica, nel borgo alpino in cui vive, pare aver trovato la sua dimensione. Prima di allora non si era mai riconosciuto in una società a tendenza uniformante.

Gli chiedo cosa sia per lui la solitudine, e Marco mi regala una bellissima definizione:

“la solitudine è la creazione di una torretta d’osservazione finalmente a propria misura, nella quale poter superare la paura del mondo. Il segreto non è piacere agli altri, ma vivere come piace a te”. “La solitudine, aggiunge, rispetta anche un‘etica della sobrietà: meno oggetti e persone inutili hai intorno e più c’è spazio per te; meno soldi ti servono, meno puoi lavorare e vivere la vita”.

Apprezzare il suono della solitudine conduce alla verità estrema dell’esistenza, forse, ma è una faccenda da maneggiare con cura dato che è estremamente difficile rimanere in equilibrio su un abisso. Per questo la bellezza della solitudine rimarrà sempre una conquista precaria.