È possibile attribuire allo psichico le stesse proprietà dell’organismo, vale a dire la possibilità di ammalarsi, di diagnosticarne la malattia e spiegarne le cause? In altre parole è possibile applicare gli stessi procedimenti della medicina biologica ai comportamenti umani e ai correlati processi mentali? Da quel che mi risulta non si è ancora trovato oggi un modello biologico della malattia mentale. Quali sono allora le cure per tutte quelle persone che pagano pesanti sofferenze psicologiche alla lotta per l’esistenza senza una scienza fondata che si propone di aiutarle?

Guardando alla Storia, alla fine dell’800 la ricerca di un substrato biologico della malattia mentale si era ricercato nella conseguenza di un’infezione batterica. Ne derivò l’idea che si dovesse aggredire il cervello come forma di cura e la conseguenza fu la diffusione di terapie come l’insulino-terapia o l’elettroshock per arrivare al tragico traguardo della lobotomia. Dietro queste cure disperate c’era la pericolosa illusione di aver trovato le sedi o le cause dei disturbi psichiatrici. Più tardi in un nuovo clima morale esasperato dalle ideologie eugenetiche arrivarono gli psicofarmaci considerati dagli psichiatri riluttanti “il manicomio chimico”. In questo clima di insofferenza verso l’insolito, la tesi di fondo era questa: nella vita naturale prevalgono i soggetti estremamente adattati all’ambiente e i soggetti più forti. I più deboli, secondo questa concezione cadono in qualche modo distrutti nella terribile lotta per la vita che, come dice Darwinmette fuori gioco chiunque sia fragile, chiunque sia sensibile”.

Questa nuova ecologia umanitaria si è ben presto tradotta in una gestione politica della questione psicologica e il DSM ne è la cosificazione.  Fu così che si cominciò a stabilire culturalmente cosa è giusto, cos’è sbagliato, cosa è morale, cosa immorale, cosa è scientifico e cosa non lo è, mettendolo i comportamenti umani ai voti (è in questo modo che l’omosessualità fu spodestata dal DSM come disturbo mentale). E siccome si sa, che chi cerca trova, tali incompiutezze metodologiche e scientifiche (dovute anche alla complessità del cervello) hanno portato a presupporre l’esistenza di un modello biologico sottostante una presunta malattia mentale consentendo ai cosiddetti terapeuti di millantare un accesso alla mente malata usando teorie pratiche pseudoscientifiche.

Ma facciamo fare ancora un ultimo sforzo alla ragione. Se in medicina il referente empirico appartiene al corpo, ovvero il corpo è il supporto e al contempo la sede di verifica d’ipotesi diagnostiche, la psichiatria individua il proprio referente empirico nella mente e nel comportamento. Appare evidente che ora si è proceduto a localizzare il supporto anatomico della cosiddetta malattia mentale nella mente. Ma cos’è la mente? E soprattutto dove si troverebbe? Non va sottovalutato che non v’è nulla di più astratto e non situato della mente, pertanto la mente resta tuttora una metafora – anche se di notevole potenza.

Una riflessione in questo senso sull’epistemologia (non è una parolaccia) della psichiatria può sembrare pesante, sgradita; Eppure, è proprio la discussione intorno all’ereditarietà delle malattie mentali, alle incomprensibilità e l’”inguaribilità” della follia umana ad aver alimentato e sostenuto l’azione che ha portato alla chiusura dei manicomi. In essa hanno avuto grande peso le culture scientifiche e professionali che si rifanno alla psichiatria fenomenologica e alle psicoterapie di matrice costruttivista.

C’è da interrogarsi se ciò che va sotto il nome di sintomo sia o meno il risultato di una “mente malata” o un modo particolare – seppur disfunzionale e soggettivo di cercare una soluzione e un adattamento – anche se precari. Con questo non voglio alludere che sia meglio non fare psichiatria. Si può approcciare alla cosiddetta “malattia mentale” come una diversa modalità di essere nel mondo, di  esperienze interiori e vissuti degli individui, mai sradicandoli dal tessuto esistenziale. E’ la descrizione di una psichiatria (e una psicologia) intesa come incontro col paziente. È un interesse verso l’Altro che azzarda il tentativo disperato, forse illusorio (?) e talvolta fallimentare, di intuire e di capire cosa c’è, che cosa si muove in quelli che sono gli abissi di un animo umano.