La rappresentazione dei miti nelle varie epoche e culture ci ricorda che dobbiamo fare i conti con una “cosa” che si chiama inconscio universale. In ogni società compare la figura dell’eroe: un mito che esprime la tendenza a lottare per il bene comune, che può elevarsi ad esempio utile per tutta la collettività. Achille per esempio, il più forte dei guerrieri Greci, stava davanti a un bivio: o la lunga vita a cui gli uomini aspirano o la non fama dell’eroe spezzato dalla morte precoce. Achille però, mosso dai suoi principi interiori non scelse la gloria e aderì al proprio destino. Difficilmente oggi un suo contemporaneo avrebbe rifiutato l’immortalità e la gloria eterna. Ma anche in tempi meno recenti condottieri e uomini di potere, non facendo i conti con i propri limiti (che il mito deposita nell’inconscio collettivo) sono caduti nell’autocompiacimento o nella sopravvalutazione della propria persona e delle proprie forze. Ed è così che alcuni uomini avvicinandosi troppo al fuoco, non avendo interiorizzato il principio del limite – hanno trascinato se stessi e i loro eserciti in qualche catastrofe.

La psicanalisi dal canto suo ci dice che solo una continua autocritica può impedirci di cadere nella feroce ambizione che attanaglia gli uomini, diversamente si incorre in quella che Freud chiamava “pulsione di morte”: “quell’autocompiacimento che si rifugia in ogni calcolo di convenienza”. Ed è così che non riuscendo a frenare l’ambizione, pur di avere successo, alcuni uomini, vendono l’anima al diavolo. Ma una simile svendita seduce anche l’uomo contemporaneo. Purtroppo i miti di oggi non sono i protagonisti dei racconti del mondo antico, greco o classico. I“miti” della nostra epoca sopravvivono in forma di idoli, di feticci, riferimenti pericolosi serviti quotidianamente da social e media.

Sono finiti i tempi dell’eroe che vinceva in battaglia l’esercito nemico, oggi la notorietà è a portata di tutti: basta assemblare qualche diavoleria tecnologica e iscriversi ai più influenti social network. Stiamo parlando di miti contraffatti, falsi miti di cui siamo ostaggi. Mai come oggi la notorietà è a portata di mano. Siamo esposti tutti a una fama illusoria che genera solo anonimato e solitudine. È un successo farlocco, auto autoreferenziale, una notorietà che nasconde fragilità, incapacità di stare nel mondo reale: tutti elementi suscettibili alla peggior psicopatologia. Non è un caso se, sedotti dalla promessa di notorietà dei social, il numero di giovani in stato di sofferenza sia in crescente aumento. Essi si offrono all’altare della visibilità a tutti i costi scoprendo – oppure no- di essere dentro un non luogo spersonalizzante che frantuma la mente originale fino all’ultima briciola di ragione e senso critico.

E un’epoca senza miti veri è una vita senza veri ideali, senza sogni. Perché alle origini della storia dell’uomo c’è un racconto, una narrazione incredibile e una fiorente mitologia, sia essa in forma di parabola, storiella o prodigio. Senza il riferimento dei miti siamo persi, spaesati, liquidi come direbbe Bauman.  Forse dovremmo riconquistare le origini, le fondamenta. La modernità volendo dare ad ogni sapere uno statuto scientifico ha offuscato la predisposizione inconscia del pensiero. Insomma, viviamo un mondo iper-razionale, matematizzato e tecnico, dove il mito viene liquidato senza tanti complimenti . Eppure l’uomo ha un bisogno naturale di soprannaturale, di un mondo ulteriore, della possibilità di vedere il mondo con altri occhi . Perché il mito è una dimensione essenziale, esistenziale, costitutiva della nostra vita e della nostra mente. In fondo tutti noi abbiamo biologicamente una vita piccola, ma se estendiamo la sua durata all’anima avremo una vita infinita. Ed è all’anima che il mito parla e da cui abbiamo bisogno di essere parlati.