Essere grassi è, in un certo senso, come essere ammalati oppure vecchi: in parole povere tagliati fuori. Non puoi rendertene conto finchè, grasso, non lo diventi davvero. E forse, visti gli innumerevoli lockdown, più di qualcuno ha sviluppato, per solidarietà, un po’ più di empatia verso questi corpi non allineati. Meno di due secoli fa eravamo circondati da girovita traboccanti, Veneri più larghe che alte, puttini rubicondi, santi piuttosto in carne: tutto svanito. Le immagini di cui ci circondiamo, le icone del desiderabile, sono uomini e donne con corpi sodi, addomi scolpiti e percentuali di massa grassa ridotta al minimo. Insomma, il corpo oggi attraverso il peso si è trasformato in un attributo morale che genera disagio e vergogna.

Le più recenti ricerche, ci confermano che nel mondo moderno, si desidera essere più magri, più “in forma”. I risultati affermano che si è anche attratti da potenziali partner “normopeso”, quelli che, in epoca vittoriana, non avrebbero fatto faville e che a Napoli sarebbero considerati “senza sostanza”. Sarà anche per questo che oggi si aspira ad avere un corpo tonico e in forma per non essere considerati “merce scaduta” e “fuori mercato”, perché essere grassi oggi è divenuto una vera e propria fonte di vergogna e di imbarazzo. Chi è grasso, o anche solo sovrappeso, porta uno stigma difficile da evitare e da sopportare che tentiamo il più possibile di eliminare attraverso un’attività fisica al limite dell’ossessione e attenzione all’alimentazione.

Ciò apre il varco di quel diffuso sentore emotivo dell’incapacità di stare a dieta, sentirsi guardiani del proprio girovita e decidere il tutto per tutto per modificare quell’immagine corporea intrisa di significati sociali che ci squalificano fino all’indesiderabile. Si entra in un gioco di specchi deformanti dove non si sa se la responsabilità della propria percezione siano gli occhi con cui siamo noi a guardarci o ci guardano gli altri – inconsapevoli essere la stessa cosa.

Ma lo sdegno per le persone grasse, non si esaurisce qui e non si può certo spiegare solo con l’ossessione per la salute. Ha piuttosto a che fare con il significato attribuito al grasso che si è trasformato in attributo morale dell’uniformarsi a quest’unico valore estetico-esistenziale. Essere grassi infatti non è solamente solo un fatto estetico (oltre medico se portato all’estremo di cui non ci occuperemo in questa sede). Appare agli altri come indicatore di un “difetto di costituzione” ma soprattutto di una vita mal spesa nell’accidia e nella cupidigia. Ciò autorizzerebbe gli esenti a far prediche di ogni tipo, facendo annegare nella più vergognosa colpa il mal capitato sotto tiro.

La moralizzazione dell’essere grassi (tralasciando l’ipocrisia delle modelle curvy, false grasse dalla taglia 42 con un abbondante décolleté) è peggiorata con la dittatura della salute a tutti i costi, dove per essere socialmente attraenti è fondamentale avere uno stile di vita “healty”: pochi grassi, pochi zuccheri e tanta attività fisica per corpi tonici e snelli, l’emblema della desiderabilità sociale. Una visione che viene sostenuta e aggravata anche dal salutismo alimentare imperante, dal culto crescente verso il cibo bio, veg, privo di qualsiasi sostanza industriale nociva. Una concezione che tende ancor di più, appunto, a giudicare chi, nonostante il cibo “benefico” in circolazione, si ostini a mangiare “male” e di riflesso, sia colpevolmente fuori forma. Una “forma “stabilita da chi? E chi definisce chi è “fuori”?

Non accettare un corpo diverso è il rifiuto della realtà, del mondo, è orrore della vita e dei suoi limiti. E’ l’illusione di sopravvivere alla vita rinunciando a viverla perché ci si sottrae e essere se stessi per volontà di essere gli altri. E’ il rifiuto della varietà rifuggita in una surreale esistenza asettica che rincorre il mito dell’uguaglianza. Fuori dall’età che avanza e fuori dai canoni del corpo, equivale essere fuori dal mondo. L’odore di essere troppo umani -con tutti i suoi limiti, puzza di volgarità e primitivo- accezione non conforme a quest’epoca di “moderna bellezza”. E’ una condizione mentale, questa, diffusa tra chi, pensando di migliorarsi, vuol modificare la sua vita e allontanarsi dalla finitezza, da se stesso. Come? Chirurgie, pillole e lifting, diete e radicali modifiche del proprio look, perchè chi soffre la propria identità, si sottrae al carcere del proprio corpo.

Ecco che allora le tecnologie della salute e della bellezza crescono a dismisura insieme alle palestre di fitness come opportunità per plasmare il corpo sull’onda della moda del momento. Il corpo diventa un progetto: un oggetto che può essere trasformato e le imperfezioni eliminate rivolgendosi al chirurgo nel disperato tentativo di esercitare sugli altri un’attenzione e un’accettazione di cui siamo dipendenti. “Sarò come tu mi vuoi” è il nuovo imperativo etico prima che estetico, un traguardo doveroso da raggiungere che fa sentire alla moda, belli come divi, tonici come body builder, a garanzia di una sicurezza sociale da esibire in pubblico senza timidezze.

Grazie al business delle diete, esercizi ginnici, massaggi, e interventi mirati di chirurgia estetica, non modificare il proprio corpo secondo i modelli vigenti diventa una colpa. Il “grasso” e il “fuori moda” sono i nuovi nemici da combattere per non incontrare la disapprovazione sociale. Paradossalmente riconoscere di essersi fatti un “ritocchino”, rimodellato e rassodato alcune parti del corpo e frequentare con costanza le palestre per combattere i chili di troppo sono argomentazioni sostenute dall’“aver fatto il proprio dovere” per essere accettati – ergo avere successo.

Ma ora siamo giunti a conclusione e so che mi chiedete un po’ di ottimismo, una pausa rincuorante dai toni inquisitori di quell’infelice equazione che livella il “Grasso” al “Brutto” inteso come contrapposizione al “Bello”. Un Bello inteso come ripetizione e riproduzione seriale ma soprattutto inteso come omologazione, monotonia, uniformità. La vera bellezza invece prospera nella specificità, nell’irripetibilità, nella varietà delle forme. L’uniforme invece è ripetizione infinita, catena di montaggio, primato della noia. Se le cose stanno così, pensate a quanta fortuna si possiede ad “essere brutti” con tutte le sue fantasiose declinazioni.