Louis Wain (1860-1939) era un pittore inglese nato con una deformazione del volto e per tale motivo fu consigliato ai suoi genitori di non mandarlo a scuola fino a quando non avesse compiuto l’età di dieci anni. Ciò non gli impedì di iscriversi alla London School of Art in cui, successivamente, ricoprì anche il ruolo di insegnante di materie artistiche, seppur per un breve periodo di tempo.

A 23 anni infatti, sposò Emily di 10 anni più grande e andò a vivere con lei a nord di Londra. Ma ben resto la moglie si ammalò di cancro e morì ad appena tre anni dal loro matrimonio. Durante la malattia Emily trovò conforto nella compagnia di un gattino randagio bianco e nero, chiamato Peter, che i due sposi avevano accolto una notte sentendolo miagolare sotto la pioggia. Da quel momento Wain scoprì il soggetto che avrebbe caratterizzato tutta la sua carriera ma purtroppo Emily muore prima di vedere realizzato il progetto artistico con protagonista il loro gattino. Fu da quel momento che Louis, probabilmente per contrastare la disperazione, cominciò ad avere una visione della realtà tutta sua.

Da quel momento sviluppò una nuova visone dell’arte confezionando non convenzionali prodotti d’arte che differiscono considerevolmente dal loro usale modo d’espressione. I drammatici cambiamenti della percezione che accompagnarono questo suo cambiamento stilistico sono chiaramente raffigurati da una serie di ritratti di un gatto che mostrano tutte le transizioni, dalle rappresentazioni realistiche dell’animale a disegni geometrici e astratti che hanno uno scarso legame la realtà ontologica.

Ma cosa succede “nella testa” di chi vive insolite esperienze estetiche ed intuizioni diverse che alterano la natura del processo creativo? Durante un episodio di allucinazioni (che si possono indurre anche spontaneamente in molteplici modi), non occasionalmente, i soggetti esperiscono la crescente geometrizzazione della realtà e la progressiva disintegrazione del colore e della forma. La messa a fuoco dell’occhio è piuttosto difficile, i contorni degli oggetti sono percepiti confusi. Tutto appare in un movimento ondulatorio, e gli oggetti inanimati sono frequentemente descritti come se si animassero. Un cambiamento percettivo caratteristico è la geometrizzazione dei volti umani, soprattutto degli animali e degli oggetti. Chi sperimenta tali cambiamenti propriocettivi riferisce una percezione cambiata nella comprensione della propria arte e di quella altrui sviluppando empatia verso di loro. Il campo visivo diviene sempre più offuscato e si restringe progressivamente. L’area percepita perde i suoi punti di riferimento spaziali e logici con il mondo circostante e diventa un microcosmo esperenziale autonomo.

Sebbene non sia mai stata diagnosticata ufficialmente, si crede fosse stata la schizofrenia ad aprire la porta su forme e colori astratti, lontani dalla realtà. La controversia sulla malattia mentale si accese quando la concezione del modello schizofrenico fu attaccato da psichiatri di orientamento fenomenologico e rigettato dalla maggior parte di clinici sensibili che compresero essere inappropriato etichettare le visioni dell’artista vittoriano come psicotiche. Altra opinione diffusa tra i critici circa la natura dei gatti psichedelici o astratti è considerarli semplicemente espressione della ricerca condotta dall’artista verso nuove possibilità percettive sperimentando tecniche di allargamento della coscienza dove potesse trovare risposta alle domande inevase della vita.

Nel 1924, quando le sue sorelle non poterono più far fronte al suo comportamento alterato a alle sue stramberie fu ricoverato in manicomio dove passerà il resto dei suoi giorni fino alla morte continuando a disegnare gatti umanizzati: gatti che versano il tè, che giocano a golf, gatti intenti a leggere o a giocare a palla, gatti seduti comodamente a discutere, gatti che maneggiano dell’uva, gatti che addirittura fumano il sigaro seduti a tavola e gatti psichedelici dipinti come quando si è sotto effetto di mescalina. Insomma, gatti in tutto e per tutto antropomorfi. Questi animali erano l’espressione vivida e a lui rassicurante di un mondo idilliaco, e in qualche modo a sfondo onirico che di certo l’internamento manicomiale non ha aiutato l’artista a integrare le sue esperienze interne nella vita quotidiana.

Wain si impegnò attivamente tutta la vita con molte associazioni benefiche a favore degli animali in generale e dei gatti in particolare – all’epoca disprezzati in Inghilterra continuando a circondarsi di quegli animali che furono la sua unica forma di auto-terapia.

Le serie dei suoi dipinti oggi sono comunemente usate nei libri di psicologia per dimostrare quello che si ritiene essere il mutamento del suo stile al deteriorarsi delle sue condizioni psicologiche. Tuttavia, ho la netta convinzione che la sua ricerca estetica del proprio modo di percepire fuori dall’ordinario (è lì che sta l’arte, non la malattia mentale) fosse a lui funzionale per ricevere lo stesso conforto che cercava e otteneva sua moglie Emily dal loro gattino Peter. Possiamo infatti considerarlo anche il precursore della pet therapy.